No. 113 – luglio – agosto 2021
Ora riesco a parlarne: sono passati quattro anni, precisamente alla fine di giugno. Fino ad oggi ho voluto fare il duro e non ho mai voluto condividere quel che è successo in quei giorni che precedevano di poco le nostre vacanze al mare, spiaggia per cani in Toscana, prenotata proprio per fare felice Leo che aveva perso da poco tempo il suo compagno Vasco e ancora non si capacitava della sua assenza…
Di Leo e di quei giorni, delle vacanze (che poi abbiamo fatto senza di lui) non sono riuscito a parlarvene fino ad oggi. Insomma, una volta che diventi nero, non torni più indietro e io mi chiamo Schwarz!
Però ogni tanto vado a sdraiarmi sulla collina del giardino di casa, sotto il melo, da dove la vista domina il resto del territorio. Resto per un po’ di tempo accanto a Leo che ci veniva sempre qui, e si metteva di sentinella come il migliore dei cani da guardia!
Leo, il Jack Russel capofamiglia che quando sono arrivato in questa casa mi ha guardato con sufficienza perché lui aveva la dignità del duro da difendere, lui!
Avevo poco più di tre mesi ed ero piccolo, spelato e tutto grigiastro, ma si è subito innamorato di me e io di lui. Sì, c’era pure Vasco, il Pastore Tedesco. Ma era un subordinato, un soldato semplice, per intenderci. Il colonnello era Leo!
Leo, che un anno e mezzo prima di quegli ultimi giorni di giugno di quattro anni fa aveva perso il suo compagno di vita. Vasco se n’era andato un tardo pomeriggio di settembre: un ictus lo aveva colpito irrimediabilmente ed era stato aiutato nel suo viaggio dal nostro veterinario di fiducia che aveva gli occhi lucidi, ma doveva fare l’unico ultimo atto medico, quello più generoso nei confronti di un cane che sarebbe rimasto nel cuore di tutti noi. Leo era lì, accanto a Vasco sdraiato nel suo giaciglio preferito; io piccoletto ero nella stanzetta della cuccia, ma d’un tratto ho sentito Leo guaire, urlare, piangere. Da quel momento in poi, per quindici giorni e quindici notti. Piangeva la partenza per il Ponte dell’arcobaleno del suo subalterno soldato Vasco con cui aveva condiviso 11 anni di onorato servizio durante i quali, per la verità, lo aveva un po’ maltrattato e gli aveva fatto ricadere tutte le colpe dei propri peccati (leggete: buche nel giardino, evasioni per andare al grotto o per andare ad aspettare l’autobus alla fermata, prontamente riacciuffati dalla nostra umana, e via dicendo). Vogliamo poi parlare di quando gli aveva insegnato a fregare il gatto puzzone? Una tecnica di alta strategia militare: Vasco doveva correre nel giardino per far scappare il gatto cacciatore, e Leo arrivava lesto e rubava la preda che il gattone lasciava sul campo. Così, Leo portava a casa lucertole e uccellini rubati al gatto da quella che la nostra umana rossa tinta chiamava “La premiata ditta Vasco & Leo”.
Sto divagando perché non è facile, nemmeno per un cagnolino come me, parlare di quando perdiamo un amico: non è facile per voi umani e non lo è per noi cani. Leo aveva sofferto tantissimo, quando Vasco ci ha lasciati. Soprattutto perché aveva lasciato lui. E io allora non capivo perché non mangiasse più (di solito era famelico e un tantino sovrappeso), perché abbaiasse e piangesse tutta la notte finché la nostra umana gli ha messo la cuccia accanto a lei. Non comprendevo perché si aggirasse come un’anima canina in pena laddove prima scorrazzava felice con Vasco (un po’ meno felice perché doveva sempre ubbidire ai suoi ordini). Non capivo nemmeno perché col tempo stava sempre appresso alla nostra umana manco fosse la sua ombra, e non giocava con me che mi davo un gran daffare per corrergli attorno e invitarlo al gioco. Leo era in lutto. L’ho capito quando lui ha lasciato noi, me, quel pomeriggio di fine giugno di quattro anni fa. Anche quella volta non ero presente. Ma noi cagnolini assorbiamo il dolore delle persone che perdono l’amico peloso e quando la mia umana è rientrata a casa con una scatola, ho compreso subito che il mio amico, capo, idolo, maestro Leo non sarebbe più tornato e niente sarebbe più stato come prima. Sotto il melo, so che Leo è lì. Lo sento e non c’era bisogno che me lo stesse a ricordare la sua statua (per la verità un birbante cane finto che sta scavando buche, come faceva lui).
La mia umana dice che ci sono parecchi studi scientifici che spiegano come anche noi cani avvertiamo il dolore per la morte di un nostro simile, e viviamo un vero e proprio lutto, proprio come io avevo visto fare a Leo e poi come è successo a me. Solo che io sono stato meno estroverso e fino ad oggi non ho saputo parlarne. E poi lei, sempre la rossa tinta, dice che noi cagnolini percepiamo e accogliamo le emozioni dei nostri umani, di gioia o di dolore per la perdita di un amico a quattrozampe. È vero! Io sarò nero, sì, ma sono sensibilissimo e finché lei non mi ha beccato sotto il melo, non glielo facevo mica vedere che mi mettevo lì, accanto a Leo, per sentirmi ancora con lui. Sono cose di cui bisogna parlare, prima o poi, perdonatemi, ma non sono fatti tristi per davvero: la mia umana dice che sono “cose della vita”, anche se ci portano nostalgia. Che fare? Se è certo che la morte di un cane è per tutti uguale a un lutto famigliare, è altrettanto vera un’altra cosa: una volta elaborato il lutto, un’ottima soluzione è quella di adottare un altro pelosetto. La mia umana (poverina, un pochino ritardata eheh) ci ha messo 5 lunghi anni…ma è arrivata Hisotta, Hisottina mia! E ha portato una ventata di gioia, scompiglio e occhioni neri che mi guardano, e non riesco a far finta di nulla (ci provo, credetemi, ma chi ce la fa a resisterle???). E così un giorno (oggi per la verità) sono riuscito a condividere un po’ di quella malinconia che mi prende sempre a fine giugno (forse perché prende la mia rossa tinta e io lo sento?). Ci sono riuscito anche perché ho letto un tenerissimo post su Facebook dove, sotto la fotografia di un cucciolo, c’era scritto: “Dopo la perdita dei miei amati Paky e Benny è arrivato Pfizer! Perché una casa senza cane è una casa triste. Con la sua energia ha riempito il mio cuore, affranto per quella perdita. Quando mio marito ha deciso di chiamarlo Pfizer, ero scettica. Ma ora so che mai nome sarebbe stato più adatto, perché lui è il nostro vaccino al dolore e alla tristezza!”. Brava Chiara (così si firma l’umana che lo ha scritto)! Anche a noi è successo che Hisotta è stata un po’ il vaccino al nostro vivere malinconico in memoria di Vasco e Leo… e allora, come secondo nome, potremmo chiamarla Moderna! Eheh
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