I cani con fine pena mai, quelli destinati a una vita che trascorrerà dietro le sbarre di un canile
da Ermanno Giudici | Lug 26, 2022
I cani con fine pena mai sono quelli che, una volta entrati nei canili, hanno un’altissima possibilità di restarci per tutta la vita. Animali condannati a trascorrere un’esistenza fatta di privazioni, interamente condotta dietro le sbarre, spesso in solitudine. I canili non sono la soluzione, e questo è oramai chiaro a quasi tutti, perché anche quelli migliori, che sono sempre meno di quanto si creda, non sono luoghi felici. Quando anche chi opera all’interno ci mette il massimo del suo possibile queste strutture restano sempre delle prigioni. Più si abbassa il livello di attenzione e più la vita di questi cani perde qualità sino a scomparire, proprio come avviene per gli animali di circhi e zoo, aprendo per loro baratri sconosciuti.
Guardando attraverso le grate di un box l’osservatore attento, quello che ha la voglia e anche la resistenza per andare oltre, percepisce una sofferenza, talvolta muta, talvolta abbaiata, ma comunque dolorosa. Qualcosa che se non stai attento ti si attacca all’anima: in molti casi si ha la netta percezione che il dolore che leggi negli occhi di questi animali sia senza cura. In tutti gli esseri viventi ci sono limiti che non dovrebbero essere mai superati. Percorsi della mente che non prevedono un ritorno, peggio della malattia fisica. Quando si altera la psiche, quando è il cervello che crea fantasmi e ossessioni, si apre il baratro della follia. Una voragine capace di inghiottire non soltanto gli umani, ma tutti gli esseri viventi che provano emozioni.
Nei canili ci sono animali anziani, magari non perfetti, talvolta anche esteticamente bruttini, ma talmente simpatici ed equilibrati da avere anche loro una possibilità. Questi sono cani difficili da far adottare, ma sono animali con una speranza. Quella che non è data a quei soggetti che una volta costretti in canile hanno imboccato una strada impervia, che rischia di diventare di impossibile ritorno. Animali che, a causa di storie di vita hanno perso l’equilibrio, rifugiandosi nei casi peggiori, proprio come accade per gli uomini, nella follia. Sono questi i cani che resteranno imprigionati in un viaggio senza stazioni di arrivo, quelli del fine pena mai!
I cani con fine pena mai sono quelli alienati, difficilmente recuperabili, destinati a una vita colma di sofferenze e paure
Storie che ricordano il libro di Mario Tobino “Per le antiche scale”, ambientato nel manicomio di Lucca prima dell’avvento della legge Basaglia, la norma che finalmente mise termine all’esistenza dei manicomi. Nel libro è contenuta la lucida descrizione della follia, capace di rapire per sempre il normale sentire in ogni essere vivente. Un fatto sul quale ci si sofferma troppo poco, quasi avendo paura che questo sottile filo possa spezzarsi, di colpo, anche in ognuno di noi. Gli animali non fanno certo eccezione, se solo avessimo la voglia di capire, di individuare il problema e di comprendere il peso e la grande sofferenza. Situazioni dolorose certamente, drammi che bisogna avere voglia di affrontare, di comprendere e dove possibile di lenire.
Questa è l’osservazione del dottor Anselmo, medico protagonista del libro, che non capisce come possano convivere due anime in una stessa persona, come la musica possa essere salvezza e il pensiero condanna.
«La pazzia è come le termiti che si sono impadronite di un trave. Questo appare intero. Vi si poggia il piede, e tutto fria e frana. Follia maledetta, misteriosa natura. Ma come, ma perché il Meschi quando soffia nel sassofono incanta e invece quando parla è zimbello di pensieri? assurdità? inconcludenze? O per lo meno noi non comprendiamo assolutamente nulla di quello che dice?»
Tratto da “Per le antiche scale” di Mario Tobino
Alcune volte l’alterazione comportamentale è uno stato causato da un’origine sconosciuta, altre volte è la conseguenza di un’insieme di concause: la mancata socializzazione, la paura, la noia. Elementi che giorno dopo giorno possono arrivare a far perdere il senno oppure creare l’impossibilità di condurre una vita normale. Così succede a molti cani condannati a passare la loro esistenza nei canili, magari solo perché appartengono a razze difficili da gestire, oppure hanno morsicato, per paura, essendo animali non socializzati, di branco, che non vogliono avere a che fare con l’uomo. Meno ancora dopo che li ha rinchiusi nel budello dove saranno detenuti a vita, il box spesso troppo angusto di un canile. Pochi metri quadri, forse puliti ma pieni soltanto di una noia senza fine, come una cella di Guantanamo.
I cani che resteranno detenuti a vita sono prigionieri incolpevoli di un patto tradito
Una piccola aliquota di animali e uomini instabili, senza apparenti ragioni, esiste e esisterà, forse non per sempre, ma ancora a lungo, finché non diventeremo bravi a curare le anime. Gli altri, quelli che hanno compiuto il doloroso percorso in salita che li ha resi difficilmente gestibili, instabili e talvolta anche potenzialmente pericolosi, sono quasi sempre una nostra responsabilità. Dovuta a cattive scelte, a incapacità di gestire animali caratterialmente complessi, alla decisione di volerli, presa d’impulso, che altrettanto d’impulso poi svanisce. Condannando gli animali a diventare prigionieri di un sistema che, come il carcere, difficilmente è capace di creare i presupposti per una seconda chance. Per mancanza di mezzi, di personale, spesso di capacità o semplicemente per disinteresse.
Può succedere che i cani subiscano le scelte di essere stati salvati a forza e rinchiusi. Da persone che a tutti i costi hanno deciso per loro, che fosse più sicuro il canile della strada, che fosse meglio un box di un rapporto imperfetto o di un compagno di vita giudicato non adeguato. Storie di adozioni sbagliate, che non incrociano i bisogni dei cani, ma soddisfano solo le aspettative di chi li fa adottare. Senza tenere conto che non tutti gli animali, proprio come le persone, sono uguali, reagiscono allo stesso modo, hanno identiche abilità, capacità di resistere, di vivere soli. Certo la vita è importante, va sempre difesa, ma per essere vera vita deve contemplare un equilibrio, quello che fa vivere in armonia con l’ambiente che ci ospita. Quando invece diventa “pena di vita”, può davvero arrivare a non essere migliore della morte.
L’importante è essere consapevoli che i canili non rappresentano la salvezza: ogni cane che entra in un box costituisce la dimostrazione di un nostro fallimento, di un patto che abbiamo tradito con il miglior amico dell’uomo. Per questo adottare è infinitamente più etico che comprare animali, così come non farli nascere è un dovere ineludibile, in un mondo dove ce ne sono già troppi rispetto ai possibili compagni delle loro vite. Entrate in un canile, guardate gli ospiti, fermatevi a guardare per un minuto occhi e comportamenti. Se lo avrete fatto con lo spirito giusto non potrete che scegliere uno di loro, magari anche il più bello e equilibrato, ma sicuramente un cane prigioniero, da liberare.
Cambiare il modo di contrastare il randagismo, educare al rispetto e alla comprensione della sofferenza
Occorre cambiare passo, non lasciare che i cani diventino strumenti di guadagno, come se fossero cose animate, come se fosse importante soltanto mantenerli in vita. Dobbiamo forse smettere di considerare la vita l’unico valore meritevole di tutela e dobbiamo iniziare a parlare di “diritto al benessere e alla felicità”. I cani lasciati a marcire nei canili gestiti in modo criminale, per incassare il prezzo della sofferenza quotidiana, devono diventare un retaggio del passato. Occorre considerare il randagismo un’emergenza che deve essere contrastata con campagne di sterilizzazione a tappeto, stabilendo percorsi abilitativi per chi voglia avere un cane. Bisogna introdurre l’interdizione alla detenzione di animali per quanti sono condannati per maltrattamento, che poi altro non è che una devianza criminale.
Bisogna riqualificare i crimini a danno di animali usando gli stessi parametri che sono considerati validi per gli uomini. Occorre smettere di usare termini roboanti ma vuoti, come “esseri senzienti”, se poi questa definizione resta priva di applicazioni concrete. La chiave di tutto è nel termine “rispetto”, l’unico sentimento in grado di garantire la convivenza sociale fra uomini e fra noi e gli altri esseri viventi. Smettendo di considerare il solo diritto alla vita come unico baluardo in grado di difendere chi abbia difficoltà a poterla vivere pienamente. Non è questione di vita o di morte, ma di dignità, di integrità psicofisica e di dare un valore diverso al termine, abusato, di “benessere animale”.
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Fonte: Il piatto tradito