In qualità di volontarie e operatrici del settore ci troviamo spesso ad affrontare un tema che in questi giorni è diventato di pubblico dominio grazie all’appello di Emanuele Besomi al Consiglio di Stato.
La Protezione animali di Bellinzona necessita di personale professionista, questa la richiesta che il Presidente della SPAB che propone l’idea di prevedere la semi professionalizzazione del volontariato delle persone che si occupano di recuperare, curare e ricollocare gli animali.
Perchè il volontariato non è piu’ sufficiente? cosa sta cambiando intorno a noi? Queste tematiche sono ben affrontate nella trasmissione radiofonica Millevoci di settimana scorsa “Ticino, un Cantone con sempre più cani: cosa implica questo costante aumento?“
Ma anche molte altre motivazioni possono essere aggiunte a quelle già citate, volgendo lo sguardo oltreconfine, ove il problema del sovraffollamento dei canili è una realtà già da molto tempo, potremo vedere che molte strutture d’eccellenza del nord Italia (ad es. il Parco Canile di Milano, il Parco canile di Rovereto, Elidog e molti altri) già da tempo operano in questo senso.
La presenza di operatori formati e professionisti del settore retribuiti per il loro lavoro consente non solo di poter gestire con tranquillità, professionalità e in modo regolare i turni nella struttura ma anche di:
- lavorare in sicurezza (sia per gli operatori che per gli animali stessi)
- gestire ogni caso con la cura che merita
- aiutare realmente l’animale in difficoltà a da avere una routine che lo tranquillizzi
- seguire e coordinare gli interventi sugli animali in modo funzionale
- risolvere per tempo eventuali problematiche comportamentali
- aumentare e ottimizzare le adozioni
Come ben descritto nella tesi “Correlazione tra adozioni e presenza di professionisti in canile” (Stippi – nov 2019)
Il canile tradizionale presenta una serie di punti critici di natura strutturale e gestionale (assenza di risorse, assenza di formazione, professionalità e servizi) che si ripercuotono negativamente sul processo di adozione, aumentano il rischio di abbandoni/rientri e rafforzano una rappresentazione errata del cane e della struttura canile. Da tutto questo nasce l’esigenza di una transizione verso il canile zooantropologico, che ha come focus la relazione uomo/cane. Affinché questo cambiamento possa avvenire occorre adeguare le infrastrutture, passare da una gestione amatoriale ad una gestione aziendale, garantire la creazione di una équipe multidisciplinare, garantire la formazione e l’aggiornamento continuo….
Molta è già la letteratura in questo senso, praticamente tutti i piu’ importanti professionisti del settore si sono gia da anni espressi sulla visione di “un canile del futuro” gestito da personale formato, che sia in grado di fare fronte in modo competente alle sempre nuove necessità ed emergenze che si presentano.
Possiamo citare Luca Spennacchio che nel suo libro Canile 3.0 cani, persone e società esprime il suo punto di vista in merito ad un “canile che non c’è”.
Continuiamo, Pierluigi Raffo nel suo Ad ognuno al sua cuccia ci parla di capovolgere la vecchia visione di canile trasformandola in un modello innovativo di gestione.
Già nel 2018 anche Roberto Marchesini ci parlava del perché non è più possibile portare avanti la classica idea di canile come luogo di detenzione dei cani.
E ora tocca a noi riflettere seriamente sul fatto che l’eutanasia non possa risolvere il problema del sempre crescente numero di cani che sono ospiti nelle nostre strutture, tocca a noi capire che anche con tutta la buona volontà possibile il volontariato non riesce piu’ a gestire le continue emergenze, tocca a noi appoggiare la proposta di un nuovo modello di rifugio per animali.
Il mondo intorno a noi è in continuo divenire, i rifugi per animali non possono restare indietro….